LA BATTAGLIA E' ANCORA APERTA
Molti aspetti della nostra esistenza possono essere
riportati all’immagine di due facce di una stessa medaglia: luce ed ombra,
ghiaccio e fuoco, bene e male, pace e guerra, noia e piacere.
Una contrapposizione a volte netta e ben definita e altre
volte labile ed evanescente è il mio essere credente e non credente.
Dico “a volte” perché tale sottile linea di demarcazione è netta
in determinati periodi, mentre in altri, è sottilissima ed evanescente come la
brina di prima mattina quando il sole si riscalda.
Sin da piccole, io e mia sorella, siamo state guidate in un
percorso di fede: la messa ogni domenica, il catechismo ed i sacramenti. Questo
percorso se quando si è piccoli è quasi scontato e perciò credi perché ti fidi
di quello che gli altri ti dicono, con il tempo diventa meno scontato, ma più critico
e ragionato.
Nella mia vita la fede si presenta dunque sotto due forme,
l’una in guerra con l’altra.
C’è una parte di me che crede per empatia, perché vede l’esempio
di genitori fermamente credenti, che continuamente sollecitano certe corde,
rendendo la presenza di Dio, la parola Gesù, quotidiana presenza, indirizzando
azioni e pensieri alla luce del messaggio evangelico.
In certi periodi, mi ritrovo a credere nella presenza di
Cristo accanto a me per un estremo bisogno di sopravvivenza: quando tutto mi
sembra buio, anche se magari non lo è, quando non trovo un’ancora di
salvataggio mi aggrappo come ad un salvagente alla fede.
In altri periodi, invece, mi sento distante, lontana mille
anni luce, critica su ogni aspetto di questa
che non possa essere spiegato con la ragione, con una verità storica,
con qualcosa di tangibile, della serie “se non vedo non credo”, come diceva San
Tommaso.
Le due persone, credente e non, si contrappongono e lottano
quasi fisicamente per prevalere l’una sull’altra.
Questa guerra interiore, però, è dura e vittorie e
sconfitte lasciano all’una o all’altra un sapore dolce-amaro.
Un momento particolarmente critico per me è rimanere ferma
nella fede davanti alla morte: non capire la logica e le ragioni con cui il Signore scelga chi chiamare a sé mi turba sempre lasciandomi in
uno sconforto inconsolabile.
Non ho delirio di onnipotenza per cui vorrei decidere chi
far vivere e chi far morire, ma vorrei capire perché il Signore a volte ci
tolga affetti cari, anche se ci è sembrato di aver pregato abbastanza perché ciò
non accada.
Estremante difficile per me è stata la morte di un
carissimo amico di famiglia. La sua morte, assolutamente inaspettata ed
imprevedibile, ha lasciato un vuoto nella sua casa dove la sua famiglia ha
dovuto fare i conti con questa dura perdita che ha sconvolto le loro vite e
secondo me anche il loro modo di approcciarsi alle cose, ma ha sconvolto anche
me che per giorni e giorni mi sono sentita in apnea, imbambolata come se l’ossigeno
non arrivasse al cervello, svuotata e alla ricerca di una risposta all’annosa
domanda: “perché?”.
Avevo già vissuto la morte quando era venuto a mancare il
nonno, e nonostante ancora oggi io non riesca a parlare di questa esperienza o
lo faccia con difficoltà e lacrime agli occhi, me ne ero fatta una ragione,
affrontando il dolore, e avevo continuato a pregare il Signore per lui e per
noi.
Ma la morte improvvisa di questo amico, mi ha gettato nello
sconforto.
La guerra di cui parla Eraclito, il polemos, quel conflitto
tra le due anime ed essenze opposto delle cose, si è accesa dentro di me.
Cuore e mente si fronteggiano ciascuno esponendo le proprie
tesi e le proprie argomentazioni, ciascuna valida e difficilmente confutabile.
La battaglia è ancora aperta. Io mi sento al centro di
questo conflitto, tutto avviene dentro di me, ma è come se anche fossi
spettatrice.
Mi auguro di trovare risposte alle mie domande, di
ritrovare quell’equilibrio che per lungo tempo mi ha portato a sentire la
presenza silenziosa, ma assidua di Dio nella mia vita, nelle piccole e nelle
grandi cose.
Proprio come racconta Manzoni nel “Cinque maggio”, Dio scende a consolare Napoleone rimanendo accanto a lui.
CARMEN BUONO



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