"BEATA IGNORANZA"

Chi non ha mai sentito parlare di "beata ignoranza"?
L'ignoranza è riconosciuta beatitudine, una prigione morbosa in cui rifugiarsi per comprendere
la coscienza del mondo reale e della nostra identità. 
L'intelletto sopito, e le credenze, le parole sofiste dei ritenuti saggi sono un ottimo sonnifero. 
Perchè sapere è guerra, conoscere è ribellione, ignoranza è disporre di un esercito incapace di protestare, troppo addormentato ed ubriaco di belle parole. È come il prete che fa catechesi, dalla porta esce una schiera di teste ripiene delle stessa brodaglia, vittime dell'oppio della falsa filosofia.
Non sono teste pensanti, non sanno fare domande, ma solo dare ragione senza nessuna componente critica all'interno.
L'icastica vocazione dell'uomo è ridotto ad una completa parodia di sè stessa, in una cultura che si fa beffa di sé e diviene erudizione. Non si coltiva nulla, l'accezione latina del termine "colo", è dimenticata, il cervello non è un campo da seminare, ma una brocca da riempire.
E' ragione questa? Non è ragione, é obbedienza e imitazione. 
Filosofia? Dimenticata, scritta nei libri, non più fonte di domande, ma di risposte. Le risposte che l'uomo tanto cerca, diventano i mattoni di un palazzo di fantasia, una sorta di giardino dell'Eden fuori dal mondo, fittizio, che non può essere scavalcato. 
La nostra vita cessa di fluire in un fiume, ora scorre in un cerchio, il mondo resta uguale in un idillio onirico e noi siamo in catene senza accorgercene. Ma dobbiamo.
L'uscita dal nostro stato di torpore, di minorità è solamente imputabile all'uomo stesso, dirà Kant nella sua frase "l'uscita dell' uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso ".
L'uomo non è ancora del tutto divenuto maggiorenne sul piano intellettuale, cioè capace di usare la propria ragione. 
Kant, riprendendo le tematiche tipicamente illuministiche della lotta ai pregiudizi, spiega che gli uomini, fino a quel momento, non hanno dovuto fare lo sforzo di pensare da soli perchè c'era chi lo faceva per loro: essi si sono dunque ridotti ad accettare le opinioni elaborate dagli altri senza vagliarle con la propria ragione. La minorità che ha caratterizzato fino ad allora l'uomo è interamente imputabile all'uomo stesso, che non ha avuto il coraggio né la voglia di sapere.
Dovrà farsi coraggio ed uscire della tenebre, per seguire il lume della ragione. Kant, il filosofo della ragione per eccellenza, opera nel 700' in pieno illuminismo ed a lui si deve una delle maggiori esortazioni nel motto "abbi il coraggio di servirti della tua propria ragione! ". 
È un atto che parte dall'uomo stesso, uscire dalle tenebre dell'ignoranza e del pregiudizio, della minoranza in sui siamo stati confinati, richiede un massimo impegno autonomo, finalmente pensare con la propria mente.
Sembrerebbe un finale felice, la fine della schiavitù. La fine della schiavitù è l'inizio delle responsabilità, ed in Goya è lampante.
L'uomo è attaccato dalle civette. La civetta, simbolo della dea della conoscenza Atena, qui preme sull'uomo lo schiaccia. 

Il mondo smette di essere rivestito di una coltre di nebbia e si rivela in tutta la sua angoscia, la ragione diventa motivo di tristezza e l'intelletto una pietra nefasta. 
Il sapere di Atena è un sapere profondamente consapevole e razionale, e nefasto, non a caso simboleggiato da un rapace notturno. 
L'uso della civetta, animale notturno, oscuro assume il significato ambivalente di ragione piena e sensibilità oscura nella sua componente archetipica femminile. Secondo i modelli antichi, infatti, femminile, la luna, era la detentrice del caos, capace di distogliere l'uomo dal suo cammino, portandolo alla follia.
La civetta diventa così mostruosa, baluardo di un sapere fatto di tradizioni, superstizioni e pregiudizi. Goya con il suo nome rannicchiato che tenta di difendersi, depreca l’oscurantismo e dichiara allo spettatore che le superstizioni e l’assenza di autonomia di pensiero porterà gli uomini ad uno stato di brutalità e di paura. L'uomo non è dritto in piedi, non è sicuro di sé, è piegato, reso prigioniero da egli stesso nel suo sonno di ragione. La sua debolezza è nell'essere dormiente.
L’opera di Goya pone l’attenzione sui disastri provocati dalla rinuncia alla ragione. 
Nella dualità della civetta, però, rivolge un invito affinché la ragione si unisca alla fantasia in un intimo
connubio tra l’estro creativo e la razionalità.
Illuminare il mondo con la ragione per non essere inghiottiti dalle tenebre dell'irrazionalità.
DARIA BRUNETTI

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