LA LIBERTA' E' LA META DI UNA CORSA AFFANNOSA

La libertà è la meta di una corsa affannosa che dura tutta la nostra vita. 

Lasciami stare! Libertè, legalitè, fraternitè! "Hey teachers, leave them kids alone!".Vogliamo essere liberi! Non accettiamo condizioni di pace. Voglio fare quello che voglio!

L'uomo ha gridato con la voce dei millenni questa parola: libertà. Ma cos'è davvero?
Suona come un'utopia: qualcosa che non c'è e perciò si rincorre. Eppure, sembra reale, sempre vicina, a un passo da noi. La vediamo, è per questo che la riNcorriamo.
Percorriamo infinite distanze, sempre a un passo da essa; più ci avviciniamo, più corriamo velocemente. Sembra un arcaico paradosso di Zenone, ma è così. Quando crediamo di esserci arrivati, ecco che si crea un bisogno nuovo, quello di essere ancora più "liberi". 

La libertà non può esistere sul terreno umano, in tal caso l'io diventerebbe Dio: solo, supremo, onnipotente. Siamo tanti Icaro in volo, vogliamo raggiungere il sole, essere come lui, ma cadiamo, bruciati, frantumati al suolo. Forse crederemo di averla raggiunta, lì a terra, stremati dal volo. Questo non possiamo dirlo, finché non cadiamo. E finché non cadiamo siamo disposti a battere incessantemente le nostre ali di cera. 

Ho voglia di citare, in questo momento, i mille e mille occhi che ho incontrato nelle foto di un corridoio lunghissimo in un block di Auschwitz. ARBEIT MACHT FREI : i deportati varcavano il celebre cancello credendo che ad aspettarli ci sarebbe stato un futuro splendente di lavoro, soldi, vita. L'acquolina di questa libertà dallo stato di discriminazione e duro economicamente in cui vivevano spingeva loro, ogni singolo giorno, a subire le torture “esmesurate” di cui tutti siamo a conoscenza. Non solo sono stati vittima del più grande genocidio, ma anche della più grande illusione di libertà che la storia abbia mai conosciuto. 

In questa occasione ci è stato chiesto di prendere in mano le penne e, immaginare noi stessi nel pigiama a righe per qualche minuto, e scrivere la nostra biografia. È stato il momento più intenso e doloroso di tutto il viaggio. Fare questa operazione significava ricreare attraverso le parole e provare il dolore atroce dell'Oolocausto. Dopo essermi nascosta dietro "Agnescka Baran", ho provato a fare un esperimento simile, ma con un soggetto diverso, quasi astratto: quello che è rimasto fisicamente di quei 6 milioni di corpi; quello che continuiamo a calpestare noi visitatori; quello conservato nelle urne; quella cosa di cui puoi sentire ancora l'odore in quei luoghi dove continua a fluttuare. È la cenere. Ciò che rimane e ciò che arriva ovunque. Di sotto riporto la voce che ho tentato di dare alla polvere. 

"Quella che respiri qui non è aria, è cenere. La mia, del mio corpo, trucidato da una sola parola. FREI. Ho vissuto il terrore negli anni di sangue, di fatica, di ferro, di farne. E l'unica cosa che continua a bruciarmi, ancora, è quella parola. FREI. 
Abito il vento, abito i vostri polmoni. Volo leggero, sono sereno. Eppure soffro ancora: non posso decidere come muovermi, dove andare, che forma assumere. Sarò sempre vittima dell'energia estrema del mondo. 
Sono numeroso come polvere, potrei raggiungere tutti voi. Quando lo farò, non tentate di riconoscermi: io non ho un'identità. Sono un numero tatuato, sono un triangolo cucito. Non importa chi sia, sono solo un prodotto dell'industria di suo Signore, il Male. 
Ora che sono dentro di te vorrei solo chiederti una cosa, uomo. E tu, l'hai mai respirata la libertà?"

Ebbene, per loro la libertà iniziava quando fuggivano, cioè con la morte. Icaro che cade. Con questa digressione non intendo affermare che la libertà non esista, ma voglio provare quanta carica potenziale essa possa avere negli individui. 
Precedentemente, invece, ho considerato la libertà come concetto assoluto a cui l'uomo tende ad aspirare e questo, secondo la mia umile visione, è impossibile. 
Sarebbe, per assurdo, come cancellare tutti i segni dell'esperienza per fare un passo indietro e tornare alla tabula rasa di Locke. L'uomo è invece naturalmente propenso alla crescita, in ogni senso: quella fisica, quella dell'esperienza, quella dell'età; quella crescita che risponde alla legge fisica dell'entropia, in cui /_\S>0, dove S è il disordine del sistema, non è mai zero...non è mai ordine, in altre parole nel nostro sistema termodinamico il disordine tende ad aumentare. Non siamo programmati per un ritorno all'ordine iniziale, che potrebbe avvenire con la morte. Lì non sappiamo se ad aspettarci ci sarà di nuovo un foglio bianco, o uno nero. Io lo vedo nero. 

C'è poi una forma diversa di libertà: come se ne avvertissimo la sensazione senza approfondire la conoscenza dove non possiamo. Una libertà di cui ci si accontenta anche se vista da lontano. Forse è solo in quel momento che l'uomo può sentirsi libero. 
È quella serenità, ovvero libertà apparente e caduca, che provo ogni volta che tramite espedienti come il sogno, l'arte, la lettura, dialoghi, musica, riesco ad allontanarmi dalla realtà, anche se ci ritornerò a breve termine. In effetti, la radice più antica di questa parola, quella indoeuropea, è lep* (da cui deriva il verbo greco lepeìn) che fa riferimento all'atto concreto di sbucciare, togliere via lo strato esterno, sino a raggiungere la sostanza cercata. Nel nostro caso, questa sostanza siamo noi stessi, privi di ogni cosa che ci stringe. 

In questi giorni di quarantena ci si sente stretti in che pareti che vorremmo "sbucciare via", che sembrano impedirci di vivere dividerci drasticamente dal mondo della libido. Potrebbe sorgere qui una contraddizione: se ciò a cui porta la libertà è essere in uno stato di "lusso" con la propria persona, nel senso di conoscerla a fondo e stare bene con essa, perché allora abbiamo bisogno di farlo fluire nel mondo di fuori? La risposta qui non è molto difficile. È vero che il significato primo e originale del termine è quello, ma è vero anche che l'uomo è uno zoon politicòn: ha bisogno del contatto con le persone e le cose per poter arrivare a sé stesso. Ecco perché l'accezione posteriore che ha assunto il termine "libertà" è quello di piacere. Come se, insomma, l'uomo abbia bisogno di provare godimento fino ad una esaltazione tale da sentirsi libero. 

Quest'ultimo concetto è stato ben analizzato dalle sette dei culti misterici della Grecia antica che ricercavano lo stato di "apopteia", ovvero esaltazione iniziatica, proprio per raggiungere un senso di libertà che derivasse dall'annullamento del mondo esterno a favore di uno interiore che consentisse lo sviluppo di una nuova fonte di conoscenza. 
Essi hanno visto come iniziati anche i noti Platone, Eraclito o Apuleio, dalle cui fonti si è ricavata la loro ricerca di un apprendimento che non provenisse dal logos, impotente di fronte all'ineffabile, ma nemmeno dai cinque sensi, che provocano emozioni che si riconoscono facilmente. Era una conoscenza che andasse oltre il reale, che invece doveva scomparire completamente per consentirne l'accesso. Questa la motivazione delle bevande inebrianti, degli incensi vari, delle orgie, ma soprattutto della musica: liuti e flauti erano un mezzo per richiamare l'uomo a questa dimensione ultraterrena. In tutto ciò nessuno ha descritto cosa provassero e i dettagli dei misteri perché agli iniziati veniva vietato di proferire parola con chiunque non lo fosse, infatti la cerchia era aperta a pochissimi.

La libertà, in conclusione, è in ogni animo, ha un potere immane sulle scelte umane, è un'utopia quando cercata nel suo senso assoluto. E ancora una volta, come emerge dai riti greci, la libertà suona come qualcosa di ineffabile, e perciò tremendamente affascinante. E quindi la cerchiamo, la cerchiamo, la cerchiamo. Forse, però, ci tocca in sorte quando smettiamo di farlo. Forse, in questi giorni di reclusione, la sola cosa che dovremmo per sentirci liberi è capire che la libertà si cela in qualsiasi angolo del mondo, ma abita, da sempre, dentro noi stessi. Bisogna imparare a guardarla bene, osservarla, dialogarci quando siamo soli. Solo allora potremo ostentare di "respirarla", è quale occasione potrebbe essere migliore di quella che stiamo vivendo nel 2020.
CLAUDIA SURICO IVB



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