La Filosofia è arte...
Pittaco, un filosofo greco antico, fu considerato uno dei sette savi, cioè dei sette saggi, che, come uno spartano, utilizzava brevi e dense sentenze per esprimere concetti filosofici. Un curioso esempio è la sua frase: “sappi cogliere l’opportunità”. Tale concetto rimanda immediatamente all’adattamento adoperato dai latini con il sintetico “carpe diem”. Con l’utilizzo di questa sentenza, il poeta Orazio afferma la sua idea di “sermo simplex”, e, cioè, di linguaggio essenziale, in cui, attraverso l’uso della callida iunctura (abbinamento, selezione verbale), è in grado di conciliare due parole così semanticamente lontane. Il verbo di carattere agricolo carpere, infatti, che intende l’azione concretissima del cogliere, del piluccare qualcosa, è stato connesso in un ossimoro con la dimensione assolutamente astratta del tempo: “diem”. Queste due parole così accostate sono state dal poeta risemantizzate. Egli, infatti, ha dato loro una valenza semantica interamente rinnovata. Tale digressione linguistica era necessaria per una comprensione completa della sentenza del greco Pittaco. Egli tenta di esprimere, infatti, il concetto di opportunità, come qualcosa di concreto che, come un fiore, dev’essere colto nel momento in cui è nel suo splendore, così da vivere a pieno e al meglio quel determinato istante. Il filosofo, pertanto, esorta il prossimo a scorgere lo splendore del suo fiore, in modo da coglierlo nell’attimo giusto, non quando è ancora un bocciolo, né quando è ormai appassito. È difficile trovare una sentenza, un detto o una frase che abbia caratterizzato la nostra intera esistenza. Poco tempo fa mi è stata dedicata una breve poesia a cui sentivo di appartenere:
L’arte
È un lampo eterno
E pochi passi di danza.
Questa è la sentenza della mia intera esistenza. Il primo verso sospeso nel rigo, che lascia al lettore la possibilità di ipotizzare una personale definizione dell’arte, è solo il soggetto del verbo che si trova all’inizio del secondo verso. È proprio quest’ultimo a decapitare la riflessione del lettore, poiché spiega chiaramente, attraverso una metafora, il vastissimo concetto di arte. Sono proprio i termini in ossimoro a stravolgere e destabilizzare la mente del lettore. Il lampo, infatti, trasmette l’idea di un tempo cortissimo, tipico dell’istante, costretto, però, a dilatarsi nella possibilità che accada qualcosa di negativo. Il tempo del lampo, dunque, è il tempo dell’angoscia e della paura, tempo in cui l’uomo è sul filo sospeso dell’attesa. Esso, diventa, quindi, eterno se riferito all’arte. Questa, infatti, come la letteratura, consegna l’uomo all’immortalità e l’immortalità all’uomo. Le opere celeberrime degli artisti rinascimentali, ad esempio, sono ancora vive nella memoria della gente e portano il nome del proprio artefice e, viceversa, l’artefice delle opere celeberrime sarà ricordato per sempre a causa di quelle. Il poeta, così, attraverso la sua callida iunctura, è stato capace di descrivere l’arte nel senso più ampio del termine. Essa, infatti, è un lampo e, come tale colpisce, pone in allerta, smuove l’animo dell’uomo, che manterrà viva questa sublime meraviglia, rendendola eterna. Ma è proprio quest’infinità ad essere ridotta in pochi passi di danza nell’ultimo verso, in cui la “e” in anafora con il secondo verso non è più un verbo che definisce e chiarisce, bensì solo una congiunzione che introduce un’ulteriore definizione del termine iniziale. Tale sentenza è posta in antitesi con quanto detto nel secondo verso ed esprime, infatti, il concretizzarsi dell’intero atto artistico, che, in questo caso, è la danza e i suoi passi. Il poeta, pertanto, ha adoperato una scelta optando per la danza anziché un’altra forma di arte, come, più comunemente è la pittura. È proprio per quest’ultima scelta che avverto la mera sensazione di essere appartenuta dalla poesia. Essa mi ha intrappolata dentro, senza darmi possibilità di evadere. Ma sono io a stare bene nei suoi versi, sono io che mi sento abbracciata da questo inchiostro. Prendendo tale poesia come inizio di una riflessione più ampia, risulta che il poeta abbia lanciato al lettore la più grande delle provocazioni, quella, cioè, di attivare il loro pensiero razionale per porsi la domanda “cos’è l’arte?”. La domanda da porsi, però, sarebbe “cosa può essere l’arte?”, così che ognuno possa consegnare differenti e svariate definizioni, tra le quali, quelle, secondo cui, l’arte è l’uomo stesso con la sua idea. Nei versi il poeta ha consegnato al lettore la sua personale e, al contempo, oggettiva, identificazione dell’arte che, nel secondo verso, in modo oggettivo, viene identificata come ente eterno; nel terzo e ultimo verso, all’oggettività del precedente subentra la soggettività della scelta di concretizzare l’atto in pochi passi di danza. Il lettore è posto, pertanto, di fronte ad una scelta: accettare l’identificazione dell’arte adoperata dall’autore, oppure sviscerare quel mero significato e cercare, in modo personale, di modificare l’ultimo verso, adattandolo alla propria esistenza. L’autore, così, si identifica nella sua stessa definizione. Per questo aspetto, la danza non deve essere intesa solo in modo concreto, ma la vera danza che avvolge lo scrittore è proprio quella della sua esistenza, quella, cioè della sua anima, che, ogni giorno si nutre e vive delle esperienze quotidiane, che sono rappresentate dai singoli passi dell’eterno balletto quale è l’arte.



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